6 giugno 2014
Vi è nell’uomo un desiderio più o meno manifesto di liberazione dalla morte. Vi è un desiderio immenso di vita, di perennità, e in certi momenti tale desiderio, al di là della morte fisica, della paura, di ogni sentimento che riguarda la morte, fa sì che l’uomo superi, anche se per poco tempo, lo stato di schiavitù in cui sente di essere. Allora percepisce in fondo all’anima un’altra dimensione, un’altra vibrazione. Avverte di venire da molto lontano, quasi da prima della sua nascita; non che la sua anima preesistesse, ma che egli stesso è portatore, nel profondo, del sigillo della volontà divina che l’ha creato. È quello il suo passato. E, dato che il suo passato esprime una volontà creatrice, egli è legato a Dio. L’uomo conosce così una misteriosa speranza, una nostalgia senza fine, indefinita ma al tempo stesso precisissima, di essere eternamente.
Questi aspetti esistono in fondo a ciascuno, anche in coloro che non comprendono e lottano sino alla morte con concezioni atee e passioni funeste, morbose, molto terrene. Anche in costoro la speranza, la percezione misteriosa dell’Origine eterna è presente, imprigionata, profanata, nascosta.
Grazie a questi momenti straordinari di introspezione, che talvolta diventano ordinari, l’uomo può percepire i grandi misteri sacri dell’insegnamento della Chiesa. Senza tale introspezione egli riempe la sua memoria di concetti e di nozioni talvolta molto aride, molto sommarie, e va avanti addormentato come se non avesse la fede. Tutte le dottrine e le formule teologiche e dogmatiche rimangono lettera morta e l’uomo non può percepire il grande mistero di Cristo, della sua Incarnazione, Nascita, Passione e Resurrezione, se non compie in se stesso una liberazione personale. Senza di questa, dopo un certo tempo, molto spesso gli esseri si allontanano dalla fede, perché la loro anima è chiusa, e la vibrazione che proviene dall’eternità, mediante la parola di Cristo, non è ricevuta.
E ciò impedisce che nuovi canali di conoscenza si creino nell’anima. Tale chiusura, dovuta al peccato originale, che ha trasformato la Creazione in campo di battaglia universale, può descriversi con una sola parola, parola tanto bella quanto tragica: l'”io” umano.
Anziché sentirsi amorosamente attirato dall’Origine, dal Padre, dal nostro Creatore, l’uomo è attirato e assorbito dalla propria realtà e la libertà di cui dispone lo stacca dall’Origine; è allora immerso interamente nel movimento della storia. Invece di essere e rimanere uomo di eternità, che proviene dall’eternità ed è destinato all’eternità, è uomo storico, uomo della Storia, di ciò che passa. Non cercate in questo delle considerazioni filosofiche; sono definizioni che nascono dall’esperienza interiore.
Ma quando capita — e capita molto spesso — che l'”io” cede e e fa posto all’Altro, che è Cristo, avviene in noi stessi il primo movimento della Risurrezione. Partecipiamo interiormente ed esteriormente con tutta la nostra realtà al movimento che Cristo ha provocato nell’universo con la sua Risurrezione. Tale è la portata del fatto della Risurrezione. Il significato profondo di queste feste, di tutte le cerimonie dei regali, dei pranzi e dello scintillio esteriore è la nostra partecipazione, tramite tutti questi segni visibile, alla Risurrezione, come esseri individuali e come membri dell’umanità intera.
Il Cristo è venuto sulla terra per dare a tutti gli esseri umani, nell’ordine della loro libertà, la possibilità di partecipare alla sua vita: alla sua Incarnazione — in noi è la rinascita — alla sua Passione — per noi è il saper soffrire con Lui, senza rivolta, tutto ciò che Dio nella sua Provvidenza ci destina sulla terra — alla sua Resurrezione, alla sua nuova Nascita. Per noi si tratta sempre di rinascita, sia per la rinascita iniziale, che per la risurrezione. Si tratta sempre di partecipare, con ciò che siamo, al fatto ontologico di Cristo.